DIECI ANNI – 11.2.2012

Il suo nido fu la parrocchia, il suo vento furono i gospel e fu subito tra le nuvole, senza incertezze, senza esitazioni.

La gabbia venne dopo. Il business, il successo, il pop. “Devi sfondare nel mercato bianco,” le dissero.

Allora tra bianchi e neri c’erano ancora pesanti distinzioni e quel che facevano i secondi non era amato dai primi.

Furono subito record, rimasti sempre imbattuti. E poi venne la celluloide e come nei film accadde l’inimmaginabile. Nessuna come lei, ancora oggi.

Ma l’uccellino in gabbia sapeva che volare non era una malattia.

“Try it on my own” fu il simbolo di quell’epoca. “Provo a fare da sola, a modo mio”.

Al diavolo i discografici, al diavolo le giurie, al diavolo la critica. Rimasero lei, il suo pubblico e la sua musica. Ma l’acuto centrale di quella canzone e il salto di tre ottave con un nota sola furono il simbolo di nuove e più grandi conquiste e giunsero successi ancora più immensi.

E fece di tutto. Soul, blues, r&b classico e contemporaneo, gospel, la lirica con Pavarotti, cantò Gershwin, Bacharach, l’inno nazionale, il thema delle olimpiadi e dei mondiali di calcio, cantò per Mandela in Sudafrica, nei giorni della sua liberazione, quando per i neri era ancora difficile vivere e per i bianchi era troppo facile sparare. Ovunque vennero giù le tribune e gli stadi furono pieni per settimane intere.

L’uccellino era tornato a volare. Ma tra le nuvole ci si poteva perdere.

“Can i be me”, disse. Non si ritrovava più. Molte cose crollarono, quelle della vita semplice, la famiglia, l’affetto paterno, la mancanza di normalità, l’amore.

“I look to you” sembrò la rinascita e che tutto fosse passato.

Ma non era vero.

E così l’usignolo del mondo volò in cielo, per non tornare più.

Lasciò il mondo più povero e la musica, che in vita la temette d’esser vinta, ora senza di lei teme d’esser morta, per sempre.

Ciao Whitney.

(Video tratto dal seguente indirizzo: https://youtu.be/8v5AexgDmoA)

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