R.S.M.

Fu uno scalpellino dalmata, fuggito dall’isola di Arbe per salvarsi dalle persecuzioni dei cristiani ad opera dell’Imperatore Diocleziano, che fondò una comunità sulla vetta aspra di quel monte.
Era il 3 settembre del 301 d.C. e da quel giorno quel piccolo borgo iniziò il suo lungo e singolare cammino nel tempo.
“Relinquo vos liberos ab utroque homine” disse il tagliapietre quando, ormai vecchio, si stava apprestando ad attraversare lo Stige: “Vi lascio liberi da entrambi gli uomini”.
Quel testamento spirituale, che poteva ai più apparire banale, fu il marchio che caratterizzò i suoi circa duemila anni di storia.
Più volte sia il Papa che l’Imperatore, i due uomini, cercarono di soffocarne l’identità ma invano.
Eppure era una comunità così piccola che non le possenti armate di quei tempi, ma un semplice battaglione sarebbe stato sufficiente a ridurre in cattività.
“Nemini teneri” fu il suo motto: “Non dipendere da nessuno”.
Scorsero i secoli e quella piccola e tenace comunità si diede i primi organi di autogoverno.
Era l’Arengo, la assemblea dei capifamiglia.
Non ebbe Re, tantomeno Imperatori. Fu il primo rudimento di uno Stato Parlamentare.
La guidavano due consoli, oggi chiamati “capitani” eletti dall’Arengo solo ogni sei mesi.
Cominciarono sin da allora a fare capolino nella sua storia, e nella storia dell’umanità, due concetti che sembrano molto moderni ma che, in realtà, furono scalfiti su quel monte molti secoli prima che facessero conoscenza con il resto del pianeta: democrazia e repubblica.
Non passò molto tempo dalla sua fondazione prima che quella piccola comunità divenisse uno Stato.
Piccolino, quasi insignificante sulla mappa del pianeta, ma talmente forte da essere riuscito, sino ad oggi, a mantenere la sua indipendenza e a diventare, sempre arroccato sulla vetta di quel monte, il più celebre del mondo.
Quel monte si chiama il Titano, e quello scalpellino che lo fondò si chiamava Marino, divenuto poi santo e voi conoscete quel piccolo Stato come la Serenissima Repubblica di San Marino, la più antica del mondo.
Il 17 novembre del 1956 vi nacque un certo Massimo Carugno che voi dovreste conoscere bene.

Evangelos Odysseas Papathanassiou

Quelli della mia generazione lo iniziarono a conoscere nei primi mesi del ’68. Il gruppo era quello degli Aphrodyte’s Child composto da tre ragazzotti greci che erano approdati in Francia alla ricerca di successo per i loro virtuosismi musicali.

In effetti erano quattro, ma uno si perse per strada per ragioni di obblighi di leva militare, e la destinazione era Londra ma nello scalo a Parigi furono invece trattenuti per irregolarità dei loro documenti.

Fu così che assieme a Demis Roussos e a Loukas Sideras iniziarono la loro carriera musicale facendosi conoscere per il loro sound particolare nel quale il sapore mediterraneo delle loro radici elleniche era certamente il gusto caratterizzante.

Quegli anni turbolenti, specie a Parigi, furono forse la loro fortuna perchè Rain and tears, il loro brano di esordio, con il suo sapore malinconico ispirò l’anima idealista dei giovani di allora e fu così che quella melodia romantica, composta sulla base del seicentesco Canone in re maggiore dell’abate tedesco Johann Pachelbel , divenne l’inno del “maggio francese”.

(il video è tratto dal seguente indirizzo: https://youtu.be/YQyxCL1uMlU)

Quelle che seguirono furono vere hits come It’s five o’ clock e Spring Summer Winter and Fall conosciute in tutto il mondo.

Nel 1971, dopo aver anche segnato una collaborazione con Irene Papas, il gruppo si sciolse e mentre Demis Roussos avviò la carriera da cantante solista Evangelos si dedicò alla composizione e all’arrangiamento musicale.

Nei primissimi anni produsse alcuni dei suoi album più famosi, come Heaven and hell, Spiral e China .

Iniziò inoltre a collaborare con alcuni artisti italiani, in qualità di arrangiatore. Fu determinante per la realizzazione di veri successi. E tu di Claudio Baglioni e Concerto per Margherita di Riccardo Cocciante furono segnati dal suo innegabile  influsso e le melodie delle tastiere richiamavano quelle già utilizzate dagli Aphrodite’s Child.

Ben presto però venne scoperto dal mondo della celluloide e nel vasto e difficile tema delle colonne sonore il suo  successo divenne un fiume trovolgente. 

Da Blade runner a 1492- La conquista del Paradiso, per finire a Momenti di gloria con il quale vinse l’Oscar fu presto conosciuto in tutto il mondo come uno dei compositori di soundtrack più bravi e talentuosi.

Compose anche l’inno dei mondiali di calcio del 2002 e successivamente tornò al cinema con il film cult Alexander di Oliver Stone.

Con una miriade di altre composizioni e creazioni musicali la sua marcia sembrava inarrestabile, ma il male del terzo millennio non ha guardato in faccia nessuno e il 19 maggio 2022, si dice per complicazioni da Covid, è scomparso Evangelos Odysseas Papathanassiou che voi avete conosciuto come Vangelis.

(il video è tratto dal seguente indirizzo:  https://youtu.be/PZnodJJ7l_I)

 

 

 

 

LUCIO GIUNIO BRUTO

Il signore ritratto nell’immagine è Lucio Giunio Bruto.
Non quello che la storia colloca tra gli infami ed i cattivi per aver ucciso Cesare (che poi è tutta da vedere sul chi siano davvero i cattivi), ma un signore vissuto diversi secoli prima, forse più protagonista del suo più noto epigono.
Siamo nel 500 e rotti avanti Cristo e su Roma regna un tipaccio, di razza etrusca, chiamato Tarquinio.
È il settimo re di Roma, ma anche il peggiore. Arrogante, presuntuoso, cattivo violento, crudele accompagnando queste infamie, nelle quali eccelleva, in una totale mediocrità delle restanti pieghe della sua personalità.
Era chiamato Tarquinio il Superbo.
I suoi figli erano peggio di lui, avendo ereditato dal padre tutti i difetti e nessuno dei labili pregi, ammesso che ne avesse qualcuno.
Uno di loro, Sesto Tarquinio, pretese di possedere Lucrezia, una nobildonna moglie di Collatino.
Lucrezia, vinta dal disonore si suicidò.
Tito Livio racconta che successe davanti a Bruto, al marito Collatino e al padre di lei Spurio Lucrezio.
L’antenato del figlio di Cesare, indignato dell’evento, estrasse il pugnale dalla ferita mortale e pronunciò un solenne giuramento:
«Su questo sangue, purissimo prima che il principe Sesto Tarquinio lo contaminasse, giuro e vi chiamo testimoni, o dei, che da ora in poi perseguiterò Lucio Tarquinio il Superbo e la sua scellerata moglie, insieme a tutta la sua stirpe, col ferro e con il fuoco e ogni mezzo mi sarà possibile, che non lascerò che né loro, né alcun altro possano regnare a Roma.»
E così fu.
Trasportarono il corpo della donna nella piazza principale della città di Collatia, dove la donna si era suicidata, attirando l’attenzione della folla, che dopo aver saputo dell’accaduto si indignò per la protervia di Sesto Tarquinio.
Molti dei giovani lì presenti si offrirono volontari per condurre una guerra contro i Tarquini e riconobbero in Bruto il loro comandante.
Si diressero a Roma e anche qui Bruto conquistò il consenso del popolo.
Partì quindi per Ardea, dove il re era accampato, per indurre l’esercito a schierarsi dalla sua parte.
Quando la notizia di questi avvenimenti arrivò a Tarquinio il Superbo questi, allarmato dal pericolo inatteso, partì per Roma per reprimere la rivolta.
Bruto, allora, informato di questa azione diversiva, per evitare l’incontro, accelerò i suoi movimenti e raggiunse l’accampamento regio ad Ardea dove fu accolto con entusiasmo da tutti i soldati.
Bruto ebbe vita facile cavalcando il malcontento diffuso tra soldati e popolazione esasperati dalle angherie del tiranno.
Alla guida di quello che ormai era divenuto il suo esercito, cacciò Tarquinio ed i suoi figli sbarrandogli in faccia le porte di Roma e comunicandogli la condanna all’esilio.
Furono convocati i comizi centuriati, che lo elessero assieme a Lucio Tarquinio Collatino i primi due consoli della città.
Bruto gettò le basi per il nuovo governo dell’urbe.
Il popolo giurò solennemente, in una grande assemblea pubblica, che non avrebbe permesso più a nessuno di diventare re.
Furono nominati, tra i personaggi più in vista dell’ordine equestre, nuovi senatori ampliando l’assise, ridotta ai minimi termini dalle continue esecuzioni dell’ultimo tiranno, a trecento senatori in totale.
Introdusse l’uso di convocare per le sedute del senato i padri ed i coscritti favorendo così il riavvicinamento della plebe alla classe senatoriale.
Nacque così una “cosa” nuova.
La chiamarono “cosa pubblica” in latino “Res Publica”.
Dopo circa 200 anni i simboli regali, che troneggiavano sui 7 colli, furono ammainati e sul colle Palatino furono innalzati i vessilli della Repubblica.
Governò Roma per 500 anni.

Il 7 MAGGIO

Oggi del 1919 nasceva, a Los Toldos, María Eva Duarte.
Era di umili origini, ultima di cinque figli. Visse sino all’età dell’adolescenza in quel piccolo centro a circa 300 km. dalla capitale.
Qui vi si trasferì a 15 anni, dove perseguì una carriera da attrice corredandola sia di interpretazioni da palcoscenico, sia di partecipazioni in film e trasmissioni radiofoniche.
La sua vita fu molto controversa e molto discussa. Luci ed ombre sono state mescolate di continuo ma senza impedire che la sua storia si trasformasse in leggenda.
Così come Aspasia di Mileto, alla quale attribuirono origini peccaminose, sostenendo che fosse stata la tenutaria di un postribolo, Eva fu spesso additata per la particolare disinvoltura e spregiudicatezza con la quale percorse in maniera rampante i primi anni della sua carriera nel mondo dello spettacolo..
Spregiudicatezza della quale furono tacciate anche, e soprattutto, quando entrambe diventarono compagne di uomini potenti che incontrarono in divisa alla guida di un esercito e trasformarono in uomini di stato.
Eva, a fianco del suo uomo, recitò per diverso tempo il ruolo di ambasciatrice nazionale non sempre ben accetta, però, specie nelle corti e nei palazzi presidenziali degli stati europei.
Così come Aspasia che, trasformando la sua casa in uno dei più importanti cenacoli nel quale accolse i personaggi più significativi dell’arte, della letteratura, della filosofia dell’epoca, diede a Pericle lo spessore culturale per diventare uno dei governanti più illuminati della storia ateniese e greca, Eva Duarte, memore ed ispirata dalle sue origini umili, diede al suo compagno una visione politica rivolta verso i deboli e gli oppressi della società che spesso contrastava in maniera stridente con l’approccio nazionalista e dittatoriale del suo regime.
La vita e le contraddizioni di Eva sono sotto gli occhi di tutti e non possono essere raccontate qui.
Ma quel che la storia ricorda è che fu amata tantissimo dal suo popolo tanto da offuscare la figura del suo uomo.
La sua fama, e l’amore quasi unanime della sua gente, fu consacrata in maniera immemorabile quando, nel 1952, morì, a soli 33 anni, di un male inesorabile. Ci fu la mobilitazione di un intero popolo. Per renderle ossequio ci furono code di chilometri e ai suoi funerali parteciparono più di due milioni di persone.
Fu una vicenda che impressionò il mondo intero. E anche dopo la sua scomparsa la devozione per lei divenne un culto. Fu esposta in un feretro di cristallo nella sede del sindacato dove fu oggetto di continua venerazione per diversi anni.
La sua salma imbalsamata fu poi trafugata dai successori, ed avversari politici, del marito, nel fondato timore che il suo culto potesse pericolosamente perpetuarsi, e fu tenuta nascosta a lungo. Per un certo periodo il tenente colonnello Moori Koenig, capo dei servizi segreti, mise il feretro di cristallo in un furgone, dove lo lasciò per diversi mesi. Le spoglie vagarono in numerosi edifici militari, sempre sotto sorveglianza protetta e nascosta. Quando il colonnello Koenig si rese conto che non poteva continuare a spostare la salma da un luogo all’altro, né poteva distruggerla (avrebbe causato una rivolta), la trasportò nel suo ufficio, nella sede centrale del servizio informazioni, dove rimase fino al 1957. Si dice che Koenig, affascinato dalla perfezione del lavoro anatomico effettuato sul corpo di Eva, si pavoneggiasse mostrandola ai suoi visitatori. Poi fu portata a spasso per il mondo (si dice che per qualche tempo fosse anche a Milano in una tomba intestata al nome fittizio di Maria Maggi, vedova de Magistris).
Solo nel al 1974 fu riportata in patria dove, sebbene fossero trascorsi più di 20 anni, fu accolta da un oceano di sostenitori.
Ora riposa nella cappella di famiglia del cimitero della Recoleta interrata in un vero e proprio bunker, protetto da una serie di porte battenti, in una sorta di dedalo a confronto del quale le piramidi sono un gioco.
Al mondo è conosciuta, ed ancora oggi è ricordata, con il nomignolo affettuoso che le diede la sua gente EVITA.

(il video è tratto dal seguente indirizzo you tube: https://youtu.be/KD_1Z8iUDho)

LE TRIANGOLAZIONI DEL PENSIERO

Il 5 maggio del 1821 muore a S.Elena Napoleone. Lo stesso giorno di tre anni prima, nel 1818, nasce a Treviri Karl Marx.

A parte tale coincidenza, ai più sembra che tra i due non vi sia alcun punto di contatto.  Né storica, né culturale, tantomeno ideologica.

È chiaro che addentrarsi in una disamina delle enormi complessità che si celano nelle pieghe delle vite del fondatore dell’impero e del padre del comunismo è un lavoro immane, a fare il quale non sono neanche certo di essere all’altezza. Cionondimeno qualche piccolo sfizio, nel lanciarci in spericolate acrobazie sul trapezio della cultura sperimentale, possiamo togliercelo.

Non è vero che i due ragazzi non ebbero un qualcosa che li avvicinasse, un fil rouge che in qualche modo rappresentasse un piccolo legame che li mettesse in contatto.

Il suo nome era Giorgio Guglielmo Federico Hegel, nato a Stoccarda il 27 agosto 1770, padre dell’idealismo, fonte di pensiero dal quale è nata tutta la filosofia moderna sia di destra che di sinistra dalla quale, a sua volta, sono state generate le principali ideologie che hanno governato la politica del XX secolo.

Insomma il più grande filosofo dell’era moderna.

Hegel su Napoleone si esprimeva così: “I professori tedeschi di diritto pubblico non tralasciano di scrivere una quantità di opere sul concetto di sovranità e sul significato degli atti della Confederazione (del Reno). Ma il più grande professore di diritto pubblico risiede a Parigi”.

La più importante opera di Hegel, la “La feomenologia dello spirito”, ha al suo centro l’imperatore di Ajaccio. L’opera Hegeliana, che viene universalmente considerata la “bibbia” di tutto quel che venne dopo, è totalmente ispirata alla figura di uomo di stato di Napoleone. La leggenda vuole sia stata completata dal filosofo proprio la notte della battaglia di Jena.

Vi chiederete come si arriva da tutto questo al padre del Comunismo.

Ci arriviamo.

Il capitolo centrale della summa Hegeliana è centrato sul superamento, da parte della rivoluzione francese, del vecchio ordine e sul conseguente superamento del sistema rivoluzionario da parte del nuovo ordine napoleonico.

Insomma una triangolazione a tutti gli effetti.

Attraverso il terrore rivoluzionario, l’uomo raggiunge finalmente la sintesi finale che lo appaga definitivamente.

Orbene tale parte della “Fenomenologia” ebbe anche tanta influenza sul giovane Marx il quale, inutile a dirlo, era nei primi anni un Hegeliano convinto. Successivamente pur aprendo il suo pensiero ad una forma di criticismo nei confronti del padre dell’idealismo, riguardo per esempio al concetto di “religione della proprietà privata”, non rinuncia a riconoscerne grandi meriti.

Se nel complesso la critica marxiana verte soprattutto sul rapporto tra società civile e Stato, il merito di Hegel, secondo Marx, è quello di avere concesso spazio alla società civile, differenziandola dalla società politica che si incarnava nello Stato.

Non vi sfuggirà da queste poche e povere righe che c’è tanto Hegel in Marx, ma c’è anche tanto Napoleone in Hegel.

Ed ecco che quel fil rouge di cui vi parlavo vien fuori alla distanza e partendo da un dito dell’Empereur, fa un doppio giro attorno alla vita di Hegel, per finire nella mano di Karletto.

C’est la vie.

 

1968

A Parigi gli studenti occupano l’università della Sorbona per protesta contro la chiusura dell’università a Nanterre e l’espulsione di molti colleghi.

La decisione fu presa dopo mesi di scontri nel paese avviati il 22 marzo. L’occupazione segnò l’inizio del periodo di rivolta studentesca detto anche “sessantotto”.

Era la notte tra il 3 e il 4 maggio e da quel momento si avviò l’unica vera rivoluzione nella storia che ha stravolto i modelli culturali della società, non potendo a ciò le rivoluzioni più note e celebrate.

Non fu solo una questione di look.

Non si trattò solo di passare dalle gonne a balza alle mini super mini, o dalla brillantina e dai cravattini ai capelli lunghi ed ai sandali sotto i jeans. All’improvviso fecero irruzione, nei giovani e nella societa, concetti ed idee che fino ad allora erano stati dei tabù.

Sarebbe facile puntare l’indice verso l’amore libero, ma anche il concetto di pace e non violenza, fratellanza ed equità furono valori a modo loro rivoluzionari per quegli anni. Sebbene ne avesse cominciato a parlare duemila anni prima un predicatore palestinese.

Vive la revolution.

ROMA

Esattamente oggi, ma di 2775 anni fa, un giovane pastore, discendente di Enea e figlio di un dio, scavava sul colle Palatino il primo solco di quella che sarebbe diventata la città più importante della storia.

Nacque al prezzo di un sangue versato, quello di Remo, e nel segno di Marte dio della guerra.

Da quel momento per quasi mille anni dominò il mondo non solo imponendo il suono sinistro delle sue armi, ma diffondendo anche fiumi di cultura e di arte ed espandendo nel brutale mondo di allora le regole della civiltà, così come una foresta si espande all’improvviso nel deserto.

Il destino non le fu sempre favorevole. Per diverse centinaia di anni fu anche oggetto di devastazioni ed invasioni, lacerata spesso tra opposte fazioni che se ne contendevano il dominio.

Ma dopo essere stata la capitale di un impero, fu anche la sede temporale e trascendente della fede nell’uomo che fece della parola l’arma più potente del mondo. I suoi eredi tradirono spesso il messaggio di pace, libertà, uguaglianza che Gesù trasmise agli uomini, ma difesero sino allo stremo quella città nella quale avevano fondato la loro chiesa.

E grazie al quel potere visse poi anni di splendore che la portarono, molti anni dopo, ad essere finalmente la capitale di una vera nazione.

Oggi potremmo dire che la nostra capitale è l’unica cosa bella che è derivata dall’azione unionista.

Ammirata in tutto il mondo è la culla di una infinità di tesori e, tra i suoi monumenti, l’arte che custodisce e la cultura che si respira nella sua aria, non c’è chi non ne resta irrimediabilmente innamorato.

Se non esistesse il mondo sarebbe molto più triste.

Grazie Roma, città eterna.

È NATA IL 31 OTTOBRE DEL 2005

e, oltre che a essere bellissima, con un destino felice, anzi felicissimo.
Oggi ha 16 anni e vive in Inghilterra dove sta frequentando un corso di studi molto particolare. Nonostante la giovane età già conosce il suo futuro e sa che farà un lavoro esclusivo e riservato a pochissimi.
All’età di 12 anni è stata insignita del collare del Toison d’oro, l’ordine più prestigioso esistente, anche più di quello britannico della Giarrettiera, fondato nel 1430 da Filippo III di Borgogna ed oggi diviso in due rami, quello Spagnolo guidato dai Borbone e quello austriaco al cui vertice ci sono gli Asburgo Lorena.
In Europa sono solo tre le fanciulle che sono nella condizione della nostra pulzella, si tratta di Vittoria di Svezia, Elisabetta del Belgio e Caterina Amalia dei Paesi Bassi.
E sti caxxi direte voi, ha avuto solo fortuna.
Sì è vero ma forse se la sta meritando.
A 14 anni, quale presidente del premio delle Asturie ha iniziato a tenere i suoi discorsi pubblici e parla perfettamente inglese, francese, catalano e inoltre riesce a farsi comprendere in italiano, arabo e cinese mandarino. Eccelle negli studi in tutte le materie, specie quelle attinenti una formazione umanistica-politica. Non credo che sia frutto solo di un impegno “matto e disperatissimo”, rinfrancato quotidianamente da un auto convincente “volli, sempre volli, fortissimamente volli”.
Forse ha le qualità che le servono a compiere il suo fato.
Vi presento Doňa Leonor, Principessa delle Asturie, primogenita di Filippo VI di Borbone e quindi, in virtù della legge semi-salica che ne regola il dettato costituzionale e in mancanza di un figlio maschio, destinata e diventare regina di Spagna.
Dopo Isabella II, che regnò dal 1833 al 1868, una donna tornerà sul trono di Madrid.
Nei commenti posto il breve video nel quale viene insignita del Toison d’oro.
P.S.: Voi direte “che fai? sei un socialista monarchico?” No, ma non posso ignorare che, dal dopoguerra ad oggi, la socialdemocrazia europea ha avuto modo di affermarsi con stabilità e di incidere con maggiore profondità nella sua stagione di riforme per creare una società evoluta, moderna e progredita, da Gonzalez e Zapatero in Spagna, Blair in Gran Bretagna, Di Rupo in Belgio, e ancora in Olanda, Danimarca, e infine con i paesi scandinavi di Olof Palme, più in paesi a guida monarchica che in quelli repubblicani.
Viva la Reina.

(video tratto dal seguente indirizzo youtube: https://youtu.be/8iVfodw_KX4)

ERA IL 1962

e la USS Indipendence, una delle portaerei più grandi dell’epoca, si trovava a navigare al centro del Mediterraneo quando incrociò una nave che sembrava d’altri tempi.
Era un veliero con le armi spiegate che le si affiancò dolcemente.
– Chi siete? Identificatevi! – disse il colosso americano.
– Amerigo Vespucci, nave scuola della Marina Italiana – risposero dal veliero.
Ci fu un attimo di esitazione poi dalla portaerei dissero:
– Siete la nave più bella del mondo – e, sebbene avessero diritto di passare per primi, fermarono i motori per dare la precedenza alla nave italiana e permetterle di proseguire per la sua rotta accompagnando il suo transito con tre squilli di sirena in segno di ammirazione.
Da quel giorno in tutto il mondo, anche se le regole di navigazione recitano che una nave più piccola deve cedere il passo ad una più grande, è consuetudine che alla Amerigo Vespucci viene sempre data la precedenza accompagnando il suo passaggio con i tre squilli di sirena.
(Curiosità. La Amerigo Vespucci aveva una gemella, la Cristoforo Colombo, che fu varata nel 1928. Nel 1949 fu ceduta alla Russia a parziale ristoro dri danni di guerra. Assunse il nome di Dunaji (Danubio) e nel 1963 fu demolita per un incendio a bordo che la devastò.
Il 10 settembre del 1968 l’Amerigo Vespucci, al comando di Ugo Foschini, risalì e ridiscese solo a vela, e senza l’ausilio dei motori, il Tamigi fino a Londra mandando in visibilio i londinesi e regalando loro uno spettacolo che non si vedeva dai tempi di Nelson. “Quel comandante o è un pazzo, o è un grande marinaio”, titolarono i giornali inglesi che, ovviamente, optarono entusiasticamente per la seconda ipotesi.)

NE SONO 70 ED È UN GIUBILEO DI PLATINO

Era il 6 febbraio 1952 quando salì al trono, alla morte del padre, anche se fu incoronata il 2 giugno del 1953.
Fu un gioco del destino che si manifestò nelle vesti di una sottana made in Usa e borghese quanto basta per allontanare suo zio Edoardo VIII dalla corona inglese.
E fu così che giovanissima, quasi una ragazzina, sedette sul trono dello stato, tra quelli contemporanei, più antico e prestigioso del mondo.
Sulle bianche scogliere di Dover iniziarono a masticare la parola democrazia nel 1215, con l’adozione della Magna Charta, e più tardi, quando in tutta Europa andavano di moda le monarchie assolute e ovunque si imitava Louis Quatorze, le Roi Soleil, quello della famosa frase “l’état c’est moi”, dalle parti di Albione scoprivano l’importanza del parlamento e nel 1689 adottavano il Bill of rights che trasformava la corona inglese in una monarchia parlamentare riconoscendo una centralità delle assemblee nella guida politica e costituzionale dello stato.
La allora giovane regina, che in questi 70 anni ne ha viste di cotte e di crude e di tutti i colori, proseguì sino ad oggi il suo ruolo di custode delle trazioni istituzionali e di garante degli equilibri costituzionali e della unità della nazione, non dissimile dalla stessa sacralità con la quale regnò Elisabetta I, rivalità e guerra a Maria Stuart a parte.
A qualcuno potrebbe far ridere la adozione, ancora oggi, di quegli orpelli che a volte sembrano stucchevoli mascherate o barocchi rituali.
Ma quei riti, che si sono perpetuati nei secoli, sono serviti a mantenere intatta la forma costituzionale e l’assetto democratico di cui quel paese ha vissuto.
Quelle liturgie sono servite a dare alle istituzioni britanniche una autorevolezza tanto grande da entrare nelle coscienze delle popolazioni e rimanere intatta alle intemperie della storia che hanno devastato lo scorrere dei secoli.
La sacralità della corona si è estesa alla sacralità dello stato e nulla avrebbe mai permesso e mai permetterà di rovesciarla.
Dittature e dittaturelle, avventurose o meno che fossero, quali quella che hanno devastato i primi anni del Novecento, non avrebbero mai potuto, da quelle parti, non solo affermarsi ma addirittura trovare un minimo spazio tra l’attenzione dei britannici proprio per la concezione di sacralità della guida costituzionale del paese.
E invece al contrario, e a ben rifletterci, non sarà certo un caso se, dal dopoguerra ad oggi, proprio la socialdemocrazia europea ha avuto modo di affermarsi con stabilità e di incidere con maggiore profondità nella sua stagione di riforme per creare una società evoluta, moderna e progredita, da Gonzalez e Zapatero in Spagna, Di Rupo in Belgio, e ancora in Olanda, Danimarca, nei paesi Scandinavi di Olof Palme e infine proprio in Inghilterra con Tony Blair,  più in paesi a guida monarchica che in quelli repubblicani.
Quel senso delle istituzioni ha anche sviluppato una fortissima identità nazionale mescolata in una osmosi inscindibile con il rispetto dei suoi simboli in quanto identificativi della sacralità dello stato.
Non è un caso se da quelle parti ogni evento, formale o informale, istituzionale o ludico che sia, è concluso dall’inno nazionale e non è un caso che, ovunque ci si trovi, qualunque sia l’occasione o lo scenario, tutti, ma proprio tutti, dagli anziani ai maturi, dai giovani ai ragazzini, si mettono in piedi e cantano con compostezza e raccoglimento.
Si chiama solennità
Necessaria per mantenere alto il senso delle istituzioni e trasmetterne il rispetto tra le persone.
E ovunque in ogni stato, popolo, comunità, religione, la solennità è sempre stato il laticlavio con il quale ammantare di sacralità i simboli costituzionali in una sorta di iconolatria delle istituzioni.
Ma da loro è diverso, è più forte e di tale solennità Elisabetta II, in linea con i suoi predecessori, è stata una rigorosa, attenta, custode piena osservante delle tradizioni e dei dettati costituzionali del suo paese.
È per questo che è rispettata ma anche adorata dal suo popolo, è per questo che in Inghilterra non cantano l’inno solo allo stadio e nelle aule parlamentari non si sognano minimamente di introdurre scatolette di tonno o apriscatole da III C in gita scolastica.
Oggi Elisabetta II compie 96 anni.
God save the Queen.

(Video tratto dal seguente indirizzo: https://youtu.be/jn94s0eyRLo)